Contesto storico e vicende costruttive

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Breve premessa sul contesto storico

L’edificazione del teatro avvenne in un periodo storico non favorevole per Pavia; la città attraversava una fase particolarmente critica e delicata, dovuta alle conseguenze dei negoziati fra austriaci, francesi e regno di Sardegna, che portarono allo smembramento del Principato pavese. Una prima fase, ad inizio secolo, vide l’avanzamento dell’esercito austriaco, a sfavore degli spagnoli, ed una prima variazione territoriale: la Lomellina venne difatti tolta al Principato di Pavia, dando così un duro colpo alla nobiltà pavese, che in quelle terre possedeva la gran parte delle risorse. Malgrado le lamentele dei signori locali, i nuovi confini vennero ratificati con due trattati (Ultrecht-1713 – Rastatt-1714).

“Quello spirito, che ha incoraggiato alcuni Cavalieri ad intraprendere con Superiore assenso ed approvazione la dispendiosa fabbrica di un nuovo Teatro nella Città di Pavia col quale si manifestasse l’impegnato loro zelo nell’accrescere lustro, e nel somministrare decorosa sorgente di onesti divertimenti alla propria Patria, è quello stesso che in oggi gli anima a seriamente ponderare, e subordinare ossequiosamente a Sua Altezza Reale tutti que’ mezzi, pratiche, e modalità che si crede influir possono a render lodevole la di lui erezione, economica la sussistenza, regolare e piacevole la direzione.”

[Piano del Nuovo Teatro, introduzione, 7 gennaio 1773, in L. De Silvestri, Civico Teatro Fraschini di Pavia,1938, p. 103]

Nel quadro dei conflitti tra il 1733 e il 1737, che videro nuovamente lo scontro in territorio lombardo di Austria e Francia, la città si sottomise volontariamente per tre anni al dominio francese. Fu in questa fase che altri territori del Principato pavese vennero definitivamente tolti e assegnati al regno di Sardegna. Il secondo conflitto europeo, scoppiato per la successione austriaca nel 1740, ebbe conseguenze ancora più gravi per Pavia.

La pace di Aquisgrana, siglata nel 1748, sancì il definitivo smembramento del Principato: nuovi territori vennero dati al regno di Sardegna. Il nuovo confine dunque, tra Lombardia e Piemonte, divenne il Ticino, dal Lago Maggiore alla confluenza col Po. Pavia protestò per questo ulteriore smembramento del Principato che, di fatto, non esisteva più anche se nei documenti ufficiali se ne faceva ancora cenno. La città venne così privata delle parti più estese e più variamente coltivate. Furono notevoli le conseguenze negative per la città, anche a causa della diminuzione dei traffici commerciali, spostatisi verso il Piemonte e, di conseguenza, del rialzo dei prezzi delle derrate alimentari.
Gli effetti della nuova ed avversa situazione si fecero presto sentire, ed iniziò un lento, costante arretramento generale con la città ridotta ad un piccolo centro, in netta inferiorità rispetto a Milano.

In questi anni sorsero gli splendidi palazzi privati dei Mezzabarba, dei Botta, dei Belcredi; nonché un teatro che, per essere costruito da una società di quattro aristocratici, assunse il nome di “Teatro dei Quattro Cavalieri”. Negli intenti che l’Austria si prefisse di realizzare per volere della sua sovrana Maria Teresa, c’era una riforma fiscale con la creazione del Catasto e culturale con un piano per l’Università.
La sede universitaria venne rinnovata ed ingrandita.
L’Ateneo esercitò un’influenza notevole, diretta e indiretta, sull’intera città, cui si propose come la più qualificata rappresentanza a livello europeo.

 

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Il Teatro dei Quattro Cavalieri: vicende costruttive dal 1773 ad oggi

Interno del teatro Homodei, da V. Bevilacqua, Il teatro si racconta, Pavia, 1994, p.22

Il 6 novembre 1778 i giochi d’azzardo, in precedenza concessi al Teatro dal Governatore della Lombardia, [Concessione di privilegi del Governatore della Lombardia ai Cavalieri Associati, 1 maggio 1772, in L. De Silvestri, op. cit., p. 98] vennero vietati, tanto a Pavia, così come in ogni altro teatro dello Stato.

Siccome tali giochi rappresentavano il principale reddito del Teatro e permettevano quindi l’osservanza integrale delle convenzioni esistenti tra Condomini e Palchettisti, (l’obbligo di dare quattro rappresentazioni sceniche durante l’anno da parte dei primi, il versamento del canone annuo per i secondi), i Cavalieri deliberarono di sopprimere la più gravosa delle voci passive, ovvero, gli spettacoli in musica con balli di Carnevale. I Palchettisti si opposero alla delibera e si rivolsero alla pretura di Pavia. Il tutto si risolse con un atto di transazione il 4 marzo 1790, in base al quale i Cavalieri avrebbero procurato le rappresentazioni in musica nel Carnevale, mentre i Palchettisti avrebbero continuato a pagare la quota che loro spettava; qualora, per deficienza di mezzi, non fosse stato possibile portare in scena questi spettacoli, i Palchettisti avrebbero limitato la loro contribuzione.
La gestione del teatro proseguì in questo modo per circa cinquant’anni, con la proprietà degli eredi dei soci fondatori.
Nel 1845, in occasione della visita dell’Imperatore Ferdinando d’Austria, furono compiuti i primi restauri e vennero tolti i ventiquattro busti, collocati entro nicchie in corrispondenza del primo ordine di palchi; rappresentavano busti di imperatori longobardi e provenivano dalla collezione del Marchese Pio Bellisomi.

Nel 1852 il Luogotenente della Lombardia, constatando che le difficoltà finanziarie stavano ostacolando sempre più il regolare andamento della stagione teatrale, in special modo nel periodo di Carnevale, decise, con dispaccio datato 2 gennaio c.a., n°17 [Si veda la documentazione conservata presso l’Archivio Storico Civico C. Bonetta], di dichiarare decaduta la società dei Condomini dal diritto di tenere il teatro ulteriormente aperto. Considerato che da questo estremo atto ne sarebbe derivata una perdita di prestigio per la città, sede dell’unica Università di Lombardia, la Delegazione Provinciale propose che i Palchettisti rinunciassero al diritto di avere nel Carnevale un’opera con ballo e che fossero egualmente tenuti al pagamento del solito canone. Già nella proposta della Delegazione Provinciale ci si rivolgeva al Comune perché concorresse alle spese di gestione, in modo da garantire la qualità delle opere.

La gestione privata del teatro proseguì per altri undici anni.
Fra il 1858 ed il 1859, durante la guerra, il teatro fu chiuso ed adibito a magazzino dell’esercito austriaco.

Nel 1863, con il Regno d’Italia, il Comune subentrò nella gestione del teatro. [Circa l’ingresso del Comune nella gestione, sorse quell’anno un dibattito tra due fazioni opposte, ovvero tra chi era favorevole al passaggio di gestione da privato a pubblico, pur con tutte le conseguenze che sarebbero derivate nell’intraprendere una simile impresa, visto che il comune versava in non ottime condizioni finanziarie e che il teatro necessitava urgentemente di opere di restauro, e tra chi, proprio per le stesse motivazioni, ovvero le spese per rimettere in sesto l’edificio, propendeva, paradossalmente, per la costruzione di un nuovo teatro. (da B. C., “Sulla sistemazione di spettacoli teatrali in Pavia” in “Il Popolano – Gazzetta della Città e Provincia di Pavia ”, anno II, n°32, 22 aprile 1863, pp.149/154, sta in BCB, Carte Brambilla).
Con la Convenzione [Convenzione 25 febbraio 1863 fra Comune e Palchettisti, in L. De Silvestri, op .cit., p. 119] dello stesso anno, i Palchettisti e una Commissione eletta dalla Giunta Municipale decisero di approvare e costituire un fondo monetario per il conveniente esercizio del teatro.
Tutti i Palchettisti, ed il Comune per i palchi di sua proprietà, erano tenuti a pagare un nuovo canone annuo tale da poter costituire una decorosa dote per gli spettacoli.

Il teatro inoltre veniva dichiarato Comunale; tutti i pesi e spese per la conservazione andarono a carico del Comune [Scrittura 2 Agosto 1868 fra il Comune e i Palchettisti, in L. De Silvestri ,op. cit., p. 120]. A carico dei Palchettisti gravavano le eventuali modifiche dell’addobbo interno, l’appoggio del parapetto dei rispettivi palchi, il rinnovo delle porte dei palchi e camerini in armonia con i nuovi abbellimenti.
Il cortinaggio esterno dei palchi era competenza comunale.
Con scrittura privata datata 2 agosto 1868 il Comune e il Consorzio dei Palchettisti deliberarono una nuova Convenzione per la dote a favore degli spettacoli, con diminuzione del canone rispetto alla precedente delibera. Nuovamente il teatro veniva dichiarato comunale, ribadendo che al Comune spettavano tutte le spese di gestione.
A tale Convenzione seguì, il 21 giugno 1870, il regolamento del teatro, con il quale vennero disciplinati vari aspetti della gestione e della vita teatrale; si stabilirono l’organico, le varie competenze all’interno del teatro, attori e orchestrali compresi.

Il 12 novembre 1869 il Comune deliberò di assegnare al teatro la nuova denominazione di “Teatro Fraschini” in onore del concittadino Gaetano Fraschini, celebre tenore, artista ammirato in tutta Italia.
Gaetano Fraschini nacque a Pavia il 16 febbraio 1816 da Domenico, panettiere, e da Grazia Cremaschi. Dotato di una rimarchevole voce tenorile, si segnalò già in giovane età, come musico di cappella del Duomo, tanto che poté studiare canto a spese del comune. Nel 1837 cantò a Pavia come secondo tenore nell’Anna Bolena e nella Lucia di Lammermoor di Donizzetti; nel 1838 nell’Otello di Rossini. Cantò anche come primo tenore a Bergamo e alla Scala, al Comunale di Bologna e al San Carlo di Napoli, del quale fu una personalità indiscussa. La sua celebrità si estese anche fuori dall’Italia, infatti, lo troviamo a Lisbona, Madrid, Vienna, Londra, Parigi e Pietroburgo.
La sua fama è legata principalmente alle sue interpretazioni verdiane. Conobbe il Maestro a Napoli nel 1845 e ne divenne ben presto il tenore favorito, tanto che lo stesso Verdi ne sollecitò l’impiego presso gli impresari in numerose opere.
Fu anche acclamato interprete delle opere di Donizzetti, Bellini e Rossini. Si ritirò dalle scene dopo ventisette anni di attività, forse anche a causa della malattia della moglie.

La sua vita vide anche l’impegno politico e civile.
Quando il Comune gli annunciò la dedicazione del teatro in suo onore, egli propose invece di dedicarlo al suo maestro Felice Moretti, ma il Comune ne respinse la richiesta.
Morì a Napoli il 23 maggio 1887. Fu sempre legato alla sua città, tanto che nel testamento dispose che parte della sua eredità andasse, tramite il Municipio di Pavia, al Teatro che portava il suo nome.

Il 20 dicembre 1869 i discendenti dei quattro Cavalieri, già estranei alla gestione del teatro, ormai di competenza comunale, cedettero anche la proprietà materiale dell’edificio e dei locali adiacenti, compresa tutta l’attrezzatura; l’atto fu rogato dal notaio Giovanni Brusati il 20 dicembre 1869 (ASP, notarile di Pavia).

Il prezzo fu fissato in lire 112.000, salito poi a lire 132.000 per l’acquisto da parte del Comune di alcuni palchi. [I palchi in questione sono: il n° 7 di primo ordine a destra, il n°5 di secondo ordine a sinistra, il n°5 di terzo ordine a sinistra e l’unico palco in quarto ordine al n°11 di proprietà di Griziotti, cfr. L .De Silvestri, op. cit., p. 147]

Nel 1877, in occasione della visita a Pavia del Principe Umberto di Savoia e della Principessa Margherita venne restaurata la sala e rinnovato il sipario che sostituì quello dipinto dal Sanquirico, ceduto all’Accademia di Brera.
Il progetto fu affidato all’architetto milanese Achille Sfondrini, specialista in strutture teatrali.
Nel 1904, su richiesta del Comune, vista l’ordinanza di chiusura del teatro per pubblica sicurezza emanata dalla Prefettura, venne presentato un progetto di restauro ad opera dell’ingegner Coliva di Bologna.

Il progetto se fosse stato attuato avrebbe irreparabilmente sconvolto la fisionomia settecentesca del teatro. Fortunatamente il progetto venne abbandonato , in considerazione dell’ingente spesa.
Nel 1913 seguì un altro progetto, questa volta approvato dal Comune, che prevedeva di ingrandire la platea rimovendo i palchi di proscenio, rimuovere nove palchi del terzo ordine e di costruire una seconda galleria, demolire tutto ciò che sovrastava il quarto ordine dei palchi, di innalzare il tetto.

A causa delle ripercussioni provocate dalla prima guerra mondiale il progetto fu abbandonato.
Il 26 maggio 1925 si stipulò tra il Comune ed Consorzio dei Palchettisti una nuova Convenzione che rettificava obblighi e diritti di entrambe le parti; almeno quaranta spettacoli dati dal Comune a fronte di un aumento del canone annuo.
Nel frattempo il Comune aveva fatto eseguire numerose opere di riordino del teatro. [E. Bassi, V. Bevilacqua, G. Maggi, M. Milani, Il teatro si racconta. Guida alla mostra sulla storia del Teatro a Pavia dal XVIII al XX secolo, Pavia, 1994, p. 18].
Nel 1925, per la ricorrenza del XI centenario della fondazione dell’Ateneo, fu eseguito il restauro dell’atrio principale, dell’ingresso, dei corridoi, dei rivestimenti, delle decorazioni con stucchi e la tinteggiatura.

Vennero anche rinnovati gli impianti tecnologici, riparati la platea ed il palcoscenico con relativi arredamenti. Il piano di riforma venne redatto dall’ing. Cesare Avanza con la collaborazione dell’ing. Cesare Alberini del teatro alla Scala di Milano.
Nel 1931 si intervenne nel Ridotto, con tinteggiature e con un nuovo pavimento in mosaico alla veneziana. Nel 1934, in seguito ad una nuova ordinanza che imponeva la chiusura per il mancato rispetto delle norme di sicurezza, vennero eseguiti altri lavori: l’ampliamento del palcoscenico verso ovest, il rifacimento del tetto con materiale incombustibile, l’isolamento del palcoscenico con un diaframma incombustibile, nuovi impianti elettrici, nuova uscita di sicurezza sul lato sud.

Fino al 1983 non vennero eseguiti altri interventi rilevanti.
Nell’ottobre di quell’anno la Commissione Provinciale di Vigilanza per i Locali di Pubblico Spettacolo ordinò lavori urgenti per la messa in sicurezza dell’edificio, così come prevedeva il Decreto del 6/7/1983, emanato in seguito all’incendio del Cinema Statuto di Torino.
Il 6 maggio 1985 il teatro venne nuovamente chiuso per lavori di adeguamento tecnologico, di consolidamento e di restauro che durarono ben nove anni.