Architettura del teatro
Evento architettonico tra i più significativi dell’età teresiana in Lombardia, il teatro venne edificato in murature di mattoni, eccettuate le colonne dei palchetti, le scale, il loggiato interno a bugnato e le colonne del porticato d’ingresso, per i quali si preferì la pietra.
La scelta di utilizzare questi materiali, al posto del legno, materiale più adatto a soddisfare le esigenze acustiche, fu dettato dal fatto che occorreva principalmente evitare qualsiasi pericolo di incendio.
Il fronte prospetta verso Strada Nuova con un atrio porticato aperto in tre portici e due piani superiori scanditi in orizzontale da cornicioni e in verticale da lesene sovrapposte, d’ordine dorico, ionico e corinzio, tra le quali si aprono finestre con terminazione a timpano; nel timpano spezzato della finestra centrale era stato inserito lo stemma con le insegne dei quattro Cavalieri.
Ogni palco era in relazione con il proprio retropalco o camerino; sono stati abbattuti nel corso dell’ultimo lungo restauro per realizzare le scale di emergenza in ottemperanza alle norme di prevenzione incendi. Tra i servizi che offrivano, vi era un piccolo forno in muratura per scaldare le vivande [D. Vicini, Pavia e la Certosa, Pavia, 1989, p.113]; un caminetto è ancora visibile in un angolo del palco di proscenio di secondo ordine a destra.
La sala fu ornata con due grandi sculture ai lati del proscenio, intagliate nel legno da Michele Forabosco, rappresentanti la Musica e la Poesia; vi erano inoltre ventiquattro busti dei re longobardi, entro nicchie ovali in corrispondenza del primo ordine di palchi, provenienti dalla collezione del Marchese Bellisomi, poi rimossi in occasione dei lavori del 1845.
La sala ha una forma a campana, già sperimentata dal Bibiena al Teatro Comunale di Bologna. La forma a campana era tradizione per i Bibiena; scelta duramente criticata allorché Antonio la utilizzò per il Comunale di Bologna. Aspre le critiche dell’Algarotti che ebbero grande peso, non solo sui contemporanei, nella svalutazione della figura di Antonio. “A far si che in un teatro, per grande ch’ei fosse, vi si potesse, ciò non ostante, comodamente udire, hanno ancora divisato taluni, che molto vi facesse la figura interna di esso teatro. Pei iscogliere un tal problema sonosi di molto lambiccati il cervello. Ma senza dare gran travaglio alla Geometria hanno finalmente prescelto fra tutte le figure quella della campana, che piace loro di chiamar fonica. La bocca della campana risponde all’imboccatura della scena; e il palchetto di mezzo viene ad esser posto colà, donde nella campana è sospeso il battaglio. Quale sia il fondamento di così raffinata invenzione, è facile vedersi; la similitudine cioè, o l‘analogia, che immaginarono doversi trovare fra il suono reso dalla campana, e la figura della campana medesima che li rende. Ma egli è anche facile a conoscere quale sia la saldezza di simile fondamento…”, (F. Algarotti, op. cit., pp.76/77). Dopo varie analisi, si può pensare che l’architetto abbia utilizzato lo stesso sistema geometrico, fatti salvi i diversi rapporti dimensionali (L. Giordano, Il teatro di Quattro Cavalieri e la presenza di Antonio Galli Bibiena a Pavia, in Bollettino d’Arte, Pavia, 1975, p.91).
Lo snodo campaniforme è segnato da palchi legati ai vari ordini da lesene e dall’ordine gigante che introduce quelli di proscenio, modellati in sporgenza verso la struttura scenica, conclusa al da un arco rientrante.
Per ovviare alla massiccia presenza della pietra, e quindi per migliorare l’acustica del teatro, l’architetto progettò il pavimento dalla platea in legno, con un piano inclinato, rialzato su sostegni di mattoni pieni, in modo tale da creare una sorta di cassa armonica.
Per quanto riguarda le accuse di scarsa visibilità mosse a questo teatro, per quel che riguarda i palchi di proscenio oltre i palchi ai n° 1 e 2 (di raccordo tra platea e palcoscenico), e cioè il fatto che gli stessi siano rivolti più verso la sala che verso il palcoscenico, occorre ricordare che il progetto del Bibiena prevedeva che il palco fosse molto più lungo, arrivando quasi a metà della platea.
Questa impostazione fu in seguito eliminata, probabilmente per l’adeguamento della sala al fine di ospitare lo spazio per gli orchestrali dell’opera lirica; ciò compromise certamente la visibilità dai suddetti palchi.
Il velario del soffitto è opera di Osvaldo Bignami eseguita nel 1909; il soffitto preesistente era stato decorato da Achille Savoia nel 1877.
LA PIANTA ORIGINALE NEL PROGETTO DI ANTONIO GALLI BIBIENA
Come si può osservare nel disegno originale, facente parte della cartella dei disegni realizzati da Antonio Galli Bibiena, il palcoscenico era stato progettato in modo tale che avanzasse verso la sala.
Tale accorgimento serviva per un duplice scopo: da un lato permetteva all’attore di sporgersi verso il pubblico, in modo che la sua voce potesse essere udita da tutti, invece di disperdersi nelle quinte del palcoscenico; in secondo luogo, permetteva agli spettatori dei palchi di proscenio e dei primi palchettoni di vedere agevolmente la rappresentazione.
In seguito, questo prolungamento venne eliminato per consentire un aumento dei posti in platea; tale arretramento comportò un fastidioso disturbo di visibilità per gli spettatori di alcuni palchi, che si ritrovarono col doversi sporgere di molto per poter vedere lo spettacolo; ancora oggi, infatti, i palchi in questione non sono più adibiti ad uso pubblico, proprio per motivi di scarsa visibilità.
CONFRONTO a 360°
tra il Teatro Fraschini di Pavia,
il Teatro Scientifico di Mantova e il Teatro Comunale di Bologna
Teatro Comunale di Bologna
Teatro Scientifico del Bibiena – Mantova
Teatro Fraschini di Pavia