Contesto storico e vicende costruttive
Breve premessa sul contesto storico
L’edificazione del teatro avvenne in un periodo storico non favorevole per Pavia; la città attraversava una fase particolarmente critica e delicata, dovuta alle conseguenze dei negoziati fra austriaci, francesi e regno di Sardegna, che portarono allo smembramento del Principato pavese. Una prima fase, ad inizio secolo, vide l’avanzamento dell’esercito austriaco, a sfavore degli spagnoli, ed una prima variazione territoriale: la Lomellina venne difatti tolta al Principato di Pavia, dando così un duro colpo alla nobiltà pavese, che in quelle terre possedeva la gran parte delle risorse. Malgrado le lamentele dei signori locali, i nuovi confini vennero ratificati con due trattati (Ultrecht-1713 – Rastatt-1714).
“Quello spirito, che ha incoraggiato alcuni Cavalieri ad intraprendere con Superiore assenso ed approvazione la dispendiosa fabbrica di un nuovo Teatro nella Città di Pavia col quale si manifestasse l’impegnato loro zelo nell’accrescere lustro, e nel somministrare decorosa sorgente di onesti divertimenti alla propria Patria, è quello stesso che in oggi gli anima a seriamente ponderare, e subordinare ossequiosamente a Sua Altezza Reale tutti que’ mezzi, pratiche, e modalità che si crede influir possono a render lodevole la di lui erezione, economica la sussistenza, regolare e piacevole la direzione.”
[Piano del Nuovo Teatro, introduzione, 7 gennaio 1773, in L. De Silvestri, Civico Teatro Fraschini di Pavia,1938, p. 103]
Nel quadro dei conflitti tra il 1733 e il 1737, che videro nuovamente lo scontro in territorio lombardo di Austria e Francia, la città si sottomise volontariamente per tre anni al dominio francese. Fu in questa fase che altri territori del Principato pavese vennero definitivamente tolti e assegnati al regno di Sardegna. Il secondo conflitto europeo, scoppiato per la successione austriaca nel 1740, ebbe conseguenze ancora più gravi per Pavia.
La pace di Aquisgrana, siglata nel 1748, sancì il definitivo smembramento del Principato: nuovi territori vennero dati al regno di Sardegna. Il nuovo confine dunque, tra Lombardia e Piemonte, divenne il Ticino, dal Lago Maggiore alla confluenza col Po. Pavia protestò per questo ulteriore smembramento del Principato che, di fatto, non esisteva più anche se nei documenti ufficiali se ne faceva ancora cenno. La città venne così privata delle parti più estese e più variamente coltivate. Furono notevoli le conseguenze negative per la città, anche a causa della diminuzione dei traffici commerciali, spostatisi verso il Piemonte e, di conseguenza, del rialzo dei prezzi delle derrate alimentari.
Gli effetti della nuova ed avversa situazione si fecero presto sentire, ed iniziò un lento, costante arretramento generale con la città ridotta ad un piccolo centro, in netta inferiorità rispetto a Milano.
In questi anni sorsero gli splendidi palazzi privati dei Mezzabarba, dei Botta, dei Belcredi; nonché un teatro che, per essere costruito da una società di quattro aristocratici, assunse il nome di “Teatro dei Quattro Cavalieri”. Negli intenti che l’Austria si prefisse di realizzare per volere della sua sovrana Maria Teresa, c’era una riforma fiscale con la creazione del Catasto e culturale con un piano per l’Università.
La sede universitaria venne rinnovata ed ingrandita.
L’Ateneo esercitò un’influenza notevole, diretta e indiretta, sull’intera città, cui si propose come la più qualificata rappresentanza a livello europeo.
Il Teatro dei Quattro Cavalieri: vicende costruttive dal 1773 ad oggi
PRIMA DEL FRASCHINI: IL TEATRO HOMODEI
A Pavia vi fu un anfiteatro fatto costruire da Teodorico, poi ampliato ed ultimato da Atalarico, suo nipote, tra il 528 e il 529. Pare che detto anfiteatro sorgesse in prossimità di S. Dalmazio.
In seguito le compagnie comiche vaganti davano le loro rappresentazioni in case private, spesso appertenenti a nobili cittadini.
Solo agli inizi del XVIII secolo il nobile pavese Giacomo Maria Homodei fece erigere a proprie spese un vero e proprio teatro in contrada della Maddalena (ora via Paolo Diacono), andato distrutto durante un incendio nel 1840.
Una prima ipotesi degli storici che si occuparono del teatro tendeva a farne risalire la fondazione nel 1701. Della struttura del teatro si può solo ipotizzare, come era in uso nel tempo, che fosse interamente costruito in legno, salvo i muri perimetrali; con tre ordini dei palchi, di cui il terzo di completa proprietà della famiglia Homodei, riservando il palchetto centrale al Podestà della città.
Dalla relazione che il Podestà scrisse il 9 settembre 1748 [V. Bevilacqua, Il teatro si racconta, Pavia, 1994, p.22] con una informativa sulla situazione del teatro, risulta che già nel 1694 Giacomo Homodei restaurò il teatro andato in abbandono chiedendo aiuto economico a parte della nobiltà pavese. Questo elemento potrebbe retrodatare l’inizio dell’attività teatrale pavese già nel corso del XVII secolo, forse come teatro privato di famiglia, come d’usanza, o forse già aperto al pubblico.
Il teatro Homodei fu quindi l’unico teatro pavese fino alla seconda metà del XVIII secolo.
Gli inconvenienti derivati da una gestione troppo personale, inadatta a soddisfare le esigenze del pubblico, indussero quattro nobili rappresentanti del decurionato pavese ad associarsi per la costruzione di un nuovo teatro.
IL “TEATRO DELLI QUATTRO SIGNORI ASSOCIATI CAVALIERI E PATRIZI”
Il 13 luglio 1771 il Governatore di Milano concedeva ai suddetti Cavalieri Associati “l’implorata permissione di far fabbricare l’enunciato nuovo teatro nella proposta decorosa e conveniente maniera”, dichiarando inoltre infondata la pretesa di qualsivoglia diritto da parte del Signorolo Homodei,[Deliberazione 13 luglio 1771 del Governatore di Milano che respinge l’opposizione dell’Omodeo, in L. De Silvestri, op. cit., p. 97] il quale si era tenacemente opposto all’erezione di un nuovo teatro che avrebbe inevitabilmente compromesso l’andamento e la sopravvivenza del suo.
La proprietà del teatro era così divisa: 5 sedicesimi al conte Gambarana, 5 sedicesimi al Marchese Bellisomi, 4 sedicesimi al Marchese Bellingeri e 2 sedicesimi al Conte Giorgi di Vistarino [dal Contratto di Società 20 Gennaio 1772 fra i Condomini, in L. De Silvestri, Civico Teatro Fraschini di Pavia, 1938.]
La costruzione fu commissionata ad Antonio Galli da Bibiena, architetto della Corte Imperiale di Vienna; durante la sua permanenza in città fu ospitato dal marchese Bellisomi [M. Forni, Cultura e residenza aristocratica a Pavia fra ‘600 e ‘700, Milano, 1989],
“ Ebbe principio il nuovo Teatro nella Regia Città di Pavia l’anno 1771 coll’essersi sul finire del Mese di Luglio formata una Società di quattro Cavalieri Patricj, e Decurioni della Città Stessa cioè: Conte Don Francesco Gambarana Beccaria, Marchese Pio Bellisomi Ciamberlano della LL. MM. Imp. R. ed Ap., [Leggi: “… Loro Maestà Imperiali Reali ed Apostoliche…”] Marchese Luigi Bellingeri Provera Ciamberlano Imperiale come sopra, Conte Giuseppe de Giorgi di Vistarino.
Nel principio di Ottobre dello stesso anno fu principiata la demolizione delle case acquistate e furono cominciate le prime fondamenta (…)”
[“Disegni del Nuovo Teatro…”, cartella dei disegni originali dell’architetto A. Galli, 1773.]
Il 20 gennaio 1772 i Quattro Cavalieri predisposero un contratto di Società regolante i loro rapporti per la direzione ed amministrazione del nuovo teatro, per le spese di costruzione e manutenzione, per i ricavi e le relative ripartizioni, per i pagamenti, le vendite e le successioni.
Il 1 maggio, il Governatore della Lombardia Austriaca accordava ai Quattro Cavalieri Associati alcuni privilegi, fra cui la “facoltà di tenere Osteria e Bottega da caffè in quel tratto di Strada Nuova (…), la licenza di fabbricare e vendere sorbetti, acque gelate e caffè nel teatro e (…) finalmente il permesso “de’ Giuochi di azzardo e balli venali”. [Concessione di privilegi del Governatore della Lombardia ai Cavalieri Associati, 1 Maggio 1772, in L. De Silvestri, op. cit., p. 98]
Il teatro, che dai fondatori venne denominato “Teatro dei Quattro Cavalieri” e in seguito “Teatro del Nobile Condominio”, venne ultimato in soli due anni; il 24 maggio 1773 si tenne la solenne inaugurazione al cospetto del figlio di Mariateresa d’Austria, l’Arciduca Ferdinando d’Austria, Principe Reale d’Ungheria e Boemia, Governatore della Lombardia Austriaca, che onorò della sua presenza la rappresentazione per ben quattro serate consecutive.
L’opera scelta per celebrare l’apertura fu il Demetrio, libretto di Pietro Metastasio, musicato dal compositore boemo Giuseppe Mjsliveczek, con scenografie e costumi elaborati dallo stesso Bibiena. Prima donna il soprano Lucrezia Aguiari.
Il successo fu grande, tanto da far registrare il tutto esaurito per varie sere. Secondo le cronache del tempo, intervennero numerosi forestieri, fra i quali anche due principi romani. La grande affluenza fu dovuta senz’altro al richiamo esercitato da vari fattori: un autore noto, cantanti rinomati e, soprattutto, il celebrato nome del Bibiena.
Pochi mesi prima dell’apertura, il 7 gennaio 1773, venne redatto il Piano dell’erigendo teatro, approvato dall’Arciduca Ferdinando il 30 ottobre dello stesso anno; tale Piano doveva regolarne l’erezione, la sussistenza e la direzione.
Palchi e camerini furono consegnati aperti, quindi le porte erano a carico dei Signori Acquirenti, di modo che potessero “disporre a proprio comodo, ed alla maggior sicurezza dell’acquistato Palco.” [“Il piano del Nuovo Teatro”, capitolo I°, Della Erezione, comma 24, in L. De Silvestri, op. cit., p. 103 e sgg.]
Era comunque fatto divieto di intervenire con qualsiasi operazione che potesse rompere, deturpare o disturbare in ogni modo l’aspetto e l’architettura del Teatro, ovvero che potesse recare noia e disturbo al palco vicino.
Un ultimo aspetto da rilevare è che era assolutamente vietato, nel caso qualcuno avesse voluto vendere il proprio palco ( nella fattispecie occorreva dichiarare la propria intenzione in primis ai Cavalieri Associati, i quali avevano diritto di prelazione), che il palco stesso passasse “in mano di Persona, che non sia nobile, o che sia meno che Civile”. [idem, comma 28]
Il capitolo II, è dedicato alla Sussistenza, cioè il garantire costantemente al teatro quei mezzi che ne garantissero l’attività, compresa la conservazione del fabbricato e tutte quelle decorazioni che servivano a rendere più plausibili gli spettacoli.
Il Teatro doveva essere fabbricato in cotto per preservarlo dal pericolo degli incendi, e sempre per lo stesso motivo, non erano permesse torce da vento, e dal palcoscenico escluse “braggiere, caldariglie, pippe e simili arnesi”. [idem, capitolo II°, Della Sussistenza, comma 2]
Veniva poi stabilito che si trovasse una persona, fedele dipendente della Società, che si facesse carico di controllare, durante le rappresentazioni, “che i lumi inservienti tanto alle scene, quanto ai palchetti, fossero cautamente estinti”. A questa medesima persona ogni palchettista doveva consegnare una copia della chiave del proprio palco-camerino per poter effettuare i necessari controlli.
Nessuno poteva essere esentato dal pagamento dell’ingresso ad eccezione del Mag.o Sig. Senatore Podestà, il Signor Comandante delle Armi, il R. Giudice Pretorio, l’Uffiziale d’Ispezione, il Cancelliere della Società, l’Aiutante del Sig. Comandante, ed il Bastoniere delle Feste da Ballo, limitatamente però a quelle sere nelle quali vi fosse Ballo in Teatro.
Ogni proprietario di palco dei suddetti ordini considerati nobili doveva corrispondere un annuo contributo secondo precise norme; tali contributi avrebbero nel tempo costituito la dote del teatro. Queste le norme per gli affitti: “Ciascuno delli Palchi, che restano alla sinistra entrando, a motivo di avere in qualche distanza il Camerino di Servizio pagherà ogni anno Giliati sette effettivi(…); ma quelli che restano alla dritta entrando, avendo vicini e di faccia e per conseguenza a maggior comodo li suoi Camerini, pagheranno Giliati otto(…)”. [idem, comma 8]
Nel caso il proprietario non avesse pagato l’affitto per un intero anno lo stesso s’intendeva decaduto dal possesso del palco, a meno che, entro un mese dalla formale diffida, non avesse regolarizzato la sua situazione.
Nell’ultimo capitolo, quello relativo alla Direzione, si stesero le norme per stabile la procedura di nomina, la durata della carica e i compiti dei due Direttori del teatro, da scegliersi tra i membri della Società.
Con apposito manifesto del 1773 vennero posti in vendita i palchi dei primi tre ordini; ciascuno dei detti ordini si componeva di undici palchetti per parte, quindi in totale ventidue palchi per ordine, più il palco centrale e i controprosceni. I palchi, si scrive nel manifesto, “saranno tutti comodi e nelli primi tre Ordini saranno tutti accompagnati da un Camerino. Il Primo, Secondo e Terz’ordine di Palchetti saranno considerati nel Teatro per Ordini Nobili, e Civili, tutti e tre egualmente senza veruna benché menoma distinzione, o tra di loro di maggiore convenienza e decoro.” [Manifesto per la vendita dei palchi, in L. De Silvestri, op. cit., p. 114]
Fu stabilito il prezzo di vendita, indifferente per ordine o palco, pari a “Zecchini dello Stampo di Firenze e di giusto peso numero Quaranta effettivi” comprensivo anche del relativo camerino.
Venne anche indicato che, per la sussistenza del teatro era indispensabile una dote da costituirsi con gli affitti dei palchi, otto Zecchini dello Stampo di Firenze per chi possedeva il palco nel lato destro, sette zecchini per quelli di sinistra.
Era fatto inoltre divieto di concedere l’uso del palco durante le rappresentazioni a servitori, lacchè o altra gente di poca buona fama
A ricordo che il fabbricato fu eretto in meno di due anni, per notturno svago e con denaro proprio dei quattro condomini nell’anno 1773, fu in seguito apposta sulla porta d’ingresso del teatro una lapide in marmo con testo dettato dal prof. Luigi Lambertenghi, docente di filosofia morale; venne in un secondo momento collocata sulla porta del palco di proscenio di secondo ordine, e successivamente nell’atrio al piano terra.
NOCTURNO . OTIO
MOLEM . HANC . A . FUNDAMENTIS
BIENNIO . MINUS
AERE . PROPRIO
FESTINABANT
FRANCISCUS . GAMBARANA . BECCARIA
PIUS . BELLISOMIUS
ALOYSIUS . BELLINGERIUS . PROVERIA
JOSEPH . DE GEORGIIS . VISTARINUS
PATRICII
AN.MDCCLXXII
Il 6 novembre 1778 i giochi d’azzardo, in precedenza concessi al Teatro dal Governatore della Lombardia, [Concessione di privilegi del Governatore della Lombardia ai Cavalieri Associati, 1 maggio 1772, in L. De Silvestri, op. cit., p. 98] vennero vietati, tanto a Pavia, così come in ogni altro teatro dello Stato.
Siccome tali giochi rappresentavano il principale reddito del Teatro e permettevano quindi l’osservanza integrale delle convenzioni esistenti tra Condomini e Palchettisti, (l’obbligo di dare quattro rappresentazioni sceniche durante l’anno da parte dei primi, il versamento del canone annuo per i secondi), i Cavalieri deliberarono di sopprimere la più gravosa delle voci passive, ovvero, gli spettacoli in musica con balli di Carnevale. I Palchettisti si opposero alla delibera e si rivolsero alla pretura di Pavia. Il tutto si risolse con un atto di transazione il 4 marzo 1790, in base al quale i Cavalieri avrebbero procurato le rappresentazioni in musica nel Carnevale, mentre i Palchettisti avrebbero continuato a pagare la quota che loro spettava; qualora, per deficienza di mezzi, non fosse stato possibile portare in scena questi spettacoli, i Palchettisti avrebbero limitato la loro contribuzione.
La gestione del teatro proseguì in questo modo per circa cinquant’anni, con la proprietà degli eredi dei soci fondatori.
Nel 1845, in occasione della visita dell’Imperatore Ferdinando d’Austria, furono compiuti i primi restauri e vennero tolti i ventiquattro busti, collocati entro nicchie in corrispondenza del primo ordine di palchi; rappresentavano busti di imperatori longobardi e provenivano dalla collezione del Marchese Pio Bellisomi.
Nel 1852 il Luogotenente della Lombardia, constatando che le difficoltà finanziarie stavano ostacolando sempre più il regolare andamento della stagione teatrale, in special modo nel periodo di Carnevale, decise, con dispaccio datato 2 gennaio c.a., n°17 [Si veda la documentazione conservata presso l’Archivio Storico Civico C. Bonetta], di dichiarare decaduta la società dei Condomini dal diritto di tenere il teatro ulteriormente aperto. Considerato che da questo estremo atto ne sarebbe derivata una perdita di prestigio per la città, sede dell’unica Università di Lombardia, la Delegazione Provinciale propose che i Palchettisti rinunciassero al diritto di avere nel Carnevale un’opera con ballo e che fossero egualmente tenuti al pagamento del solito canone. Già nella proposta della Delegazione Provinciale ci si rivolgeva al Comune perché concorresse alle spese di gestione, in modo da garantire la qualità delle opere.
La gestione privata del teatro proseguì per altri undici anni.
Fra il 1858 ed il 1859, durante la guerra, il teatro fu chiuso ed adibito a magazzino dell’esercito austriaco.
Nel 1863, con il Regno d’Italia, il Comune subentrò nella gestione del teatro. [Circa l’ingresso del Comune nella gestione, sorse quell’anno un dibattito tra due fazioni opposte, ovvero tra chi era favorevole al passaggio di gestione da privato a pubblico, pur con tutte le conseguenze che sarebbero derivate nell’intraprendere una simile impresa, visto che il comune versava in non ottime condizioni finanziarie e che il teatro necessitava urgentemente di opere di restauro, e tra chi, proprio per le stesse motivazioni, ovvero le spese per rimettere in sesto l’edificio, propendeva, paradossalmente, per la costruzione di un nuovo teatro. (da B. C., “Sulla sistemazione di spettacoli teatrali in Pavia” in “Il Popolano – Gazzetta della Città e Provincia di Pavia ”, anno II, n°32, 22 aprile 1863, pp.149/154, sta in BCB, Carte Brambilla).
Con la Convenzione [Convenzione 25 febbraio 1863 fra Comune e Palchettisti, in L. De Silvestri, op .cit., p. 119] dello stesso anno, i Palchettisti e una Commissione eletta dalla Giunta Municipale decisero di approvare e costituire un fondo monetario per il conveniente esercizio del teatro.
Tutti i Palchettisti, ed il Comune per i palchi di sua proprietà, erano tenuti a pagare un nuovo canone annuo tale da poter costituire una decorosa dote per gli spettacoli.
Il teatro inoltre veniva dichiarato Comunale; tutti i pesi e spese per la conservazione andarono a carico del Comune [Scrittura 2 Agosto 1868 fra il Comune e i Palchettisti, in L. De Silvestri ,op. cit., p. 120]. A carico dei Palchettisti gravavano le eventuali modifiche dell’addobbo interno, l’appoggio del parapetto dei rispettivi palchi, il rinnovo delle porte dei palchi e camerini in armonia con i nuovi abbellimenti.
Il cortinaggio esterno dei palchi era competenza comunale.
Con scrittura privata datata 2 agosto 1868 il Comune e il Consorzio dei Palchettisti deliberarono una nuova Convenzione per la dote a favore degli spettacoli, con diminuzione del canone rispetto alla precedente delibera. Nuovamente il teatro veniva dichiarato comunale, ribadendo che al Comune spettavano tutte le spese di gestione.
A tale Convenzione seguì, il 21 giugno 1870, il regolamento del teatro, con il quale vennero disciplinati vari aspetti della gestione e della vita teatrale; si stabilirono l’organico, le varie competenze all’interno del teatro, attori e orchestrali compresi.
Il 12 novembre 1869 il Comune deliberò di assegnare al teatro la nuova denominazione di “Teatro Fraschini” in onore del concittadino Gaetano Fraschini, celebre tenore, artista ammirato in tutta Italia.
Gaetano Fraschini nacque a Pavia il 16 febbraio 1816 da Domenico, panettiere, e da Grazia Cremaschi. Dotato di una rimarchevole voce tenorile, si segnalò già in giovane età, come musico di cappella del Duomo, tanto che poté studiare canto a spese del comune. Nel 1837 cantò a Pavia come secondo tenore nell’Anna Bolena e nella Lucia di Lammermoor di Donizzetti; nel 1838 nell’Otello di Rossini. Cantò anche come primo tenore a Bergamo e alla Scala, al Comunale di Bologna e al San Carlo di Napoli, del quale fu una personalità indiscussa. La sua celebrità si estese anche fuori dall’Italia, infatti, lo troviamo a Lisbona, Madrid, Vienna, Londra, Parigi e Pietroburgo.
La sua fama è legata principalmente alle sue interpretazioni verdiane. Conobbe il Maestro a Napoli nel 1845 e ne divenne ben presto il tenore favorito, tanto che lo stesso Verdi ne sollecitò l’impiego presso gli impresari in numerose opere.
Fu anche acclamato interprete delle opere di Donizzetti, Bellini e Rossini. Si ritirò dalle scene dopo ventisette anni di attività, forse anche a causa della malattia della moglie.
La sua vita vide anche l’impegno politico e civile.
Quando il Comune gli annunciò la dedicazione del teatro in suo onore, egli propose invece di dedicarlo al suo maestro Felice Moretti, ma il Comune ne respinse la richiesta.
Morì a Napoli il 23 maggio 1887. Fu sempre legato alla sua città, tanto che nel testamento dispose che parte della sua eredità andasse, tramite il Municipio di Pavia, al Teatro che portava il suo nome.
Il 20 dicembre 1869 i discendenti dei quattro Cavalieri, già estranei alla gestione del teatro, ormai di competenza comunale, cedettero anche la proprietà materiale dell’edificio e dei locali adiacenti, compresa tutta l’attrezzatura; l’atto fu rogato dal notaio Giovanni Brusati il 20 dicembre 1869 (ASP, notarile di Pavia).
Il prezzo fu fissato in lire 112.000, salito poi a lire 132.000 per l’acquisto da parte del Comune di alcuni palchi. [I palchi in questione sono: il n° 7 di primo ordine a destra, il n°5 di secondo ordine a sinistra, il n°5 di terzo ordine a sinistra e l’unico palco in quarto ordine al n°11 di proprietà di Griziotti, cfr. L .De Silvestri, op. cit., p. 147]
Nel 1877, in occasione della visita a Pavia del Principe Umberto di Savoia e della Principessa Margherita venne restaurata la sala e rinnovato il sipario che sostituì quello dipinto dal Sanquirico, ceduto all’Accademia di Brera.
Il progetto fu affidato all’architetto milanese Achille Sfondrini, specialista in strutture teatrali.
Nel 1904, su richiesta del Comune, vista l’ordinanza di chiusura del teatro per pubblica sicurezza emanata dalla Prefettura, venne presentato un progetto di restauro ad opera dell’ingegner Coliva di Bologna.
Il progetto se fosse stato attuato avrebbe irreparabilmente sconvolto la fisionomia settecentesca del teatro. Fortunatamente il progetto venne abbandonato , in considerazione dell’ingente spesa.
Nel 1913 seguì un altro progetto, questa volta approvato dal Comune, che prevedeva di ingrandire la platea rimovendo i palchi di proscenio, rimuovere nove palchi del terzo ordine e di costruire una seconda galleria, demolire tutto ciò che sovrastava il quarto ordine dei palchi, di innalzare il tetto.
A causa delle ripercussioni provocate dalla prima guerra mondiale il progetto fu abbandonato.
Il 26 maggio 1925 si stipulò tra il Comune ed Consorzio dei Palchettisti una nuova Convenzione che rettificava obblighi e diritti di entrambe le parti; almeno quaranta spettacoli dati dal Comune a fronte di un aumento del canone annuo.
Nel frattempo il Comune aveva fatto eseguire numerose opere di riordino del teatro. [E. Bassi, V. Bevilacqua, G. Maggi, M. Milani, Il teatro si racconta. Guida alla mostra sulla storia del Teatro a Pavia dal XVIII al XX secolo, Pavia, 1994, p. 18].
Nel 1925, per la ricorrenza del XI centenario della fondazione dell’Ateneo, fu eseguito il restauro dell’atrio principale, dell’ingresso, dei corridoi, dei rivestimenti, delle decorazioni con stucchi e la tinteggiatura.
Vennero anche rinnovati gli impianti tecnologici, riparati la platea ed il palcoscenico con relativi arredamenti. Il piano di riforma venne redatto dall’ing. Cesare Avanza con la collaborazione dell’ing. Cesare Alberini del teatro alla Scala di Milano.
Nel 1931 si intervenne nel Ridotto, con tinteggiature e con un nuovo pavimento in mosaico alla veneziana. Nel 1934, in seguito ad una nuova ordinanza che imponeva la chiusura per il mancato rispetto delle norme di sicurezza, vennero eseguiti altri lavori: l’ampliamento del palcoscenico verso ovest, il rifacimento del tetto con materiale incombustibile, l’isolamento del palcoscenico con un diaframma incombustibile, nuovi impianti elettrici, nuova uscita di sicurezza sul lato sud.
Fino al 1983 non vennero eseguiti altri interventi rilevanti.
Nell’ottobre di quell’anno la Commissione Provinciale di Vigilanza per i Locali di Pubblico Spettacolo ordinò lavori urgenti per la messa in sicurezza dell’edificio, così come prevedeva il Decreto del 6/7/1983, emanato in seguito all’incendio del Cinema Statuto di Torino.
Il 6 maggio 1985 il teatro venne nuovamente chiuso per lavori di adeguamento tecnologico, di consolidamento e di restauro che durarono ben nove anni.